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Alcune riflessioni sulla comunicazione

Una gustosa storiella Zen racconta di un monaco viaggiatore che chiese alloggio in un tempio abitato da due confratelli: uno anziano ed istruito, l’altro giovane e sciocco e con un occhio solo.

Secondo la tradizione, qualunque monaco può essere ospitato in un monastero Zen, a patto che sostenga e vinca una discussione sul Buddismo con i preti che vi risiedono. Il monaco girovago, per ottenere l’alloggio, invitò quindi gli altri due ad un dibattito sulla dottrina. Il fratello più anziano, che si sentiva molto affaticato, disse al più giovane di sostituirlo e di chiedere al viandante il famoso “Dialogo muto”. Così il monaco giovane e il viaggiatore andarono a fronteggiarsi nel tempio. Poco dopo il monaco girovago andò a cercare il fratello anziano dicendogli che il giovane confratello lo aveva battuto. Il prete anziano, un po’ incredulo di fronte alla notizia, chiese al viaggiatore di riferirgli il dialogo. “Per prima cosa” spiegò il visitatore “io ho alzato un dito, che rappresentava Buddha, l’Illuminato. Lui ha alzato due dita, per dire Buddha e il suo insegnamento. Allora io ho alzato tre dita per rappresentare Buddha, il suo insegnamento e i suoi seguaci. A quel punto lui mi ha scosso il pugno chiuso davanti al viso, per mostrarmi che tutti e tre derivano da una sola realizzazione. Quindi ha vinto ed io non ho nessun diritto di fermarmi”. Detto questo il viandante se ne andò.

 

La storiella non è finita, la continueremo fra un po’, ma proviamo intanto a riflettere sul racconto. In poche righe sono già visibili i principali concetti che riguardano la comunicazione umana. Quando si parla di comunicazione, innanzitutto, ci si imbatte in una lista di componenti del processo comunicativo ognuna delle quali merita una analisi. Esiste un emissore che emette il primo segnale in modo intenzionale (nel nostro caso il viaggiatore), un ricevente che lo percepisce (il giovane monaco), un messaggio (il “Dialogo muto”), un codice, cioè il “vocabolario” che serve a tradurre il messaggio (nel racconto il significato dei segni delle dita), una interpretazione (il lavoro mentale che i due interlocutori fanno per comprendere il messaggio) e un contesto nel quale avviene l’incontro di segnali comunicativi (nella storiella, è essenziale sapere che ci si trova all’interno di un tempio religioso: gli stessi segni avrebbero avuto un significato ben diverso se fossero stati scambiati tra due operatori della Borsa di Wall Street). Oltre a questo, si può rilevare dal raccontino che esistono almeno due modalità attraverso cui scambiarsi messaggi: tecnicamente si chiamano comunicazione verbale che prevede l’utilizzo di un codice linguistico e della parola e comunicazione non-verbale che prevede l’uso di diversi codici corporei e gestuali (nel racconto si parla e si comunica attraverso segnali delle dita). La comunicazione verbale è normalmente più precisa, permette una minore frequenza di fraintendimenti; se il codice è ben conosciuto dagli interlocutori è più facile comprendersi. Nel prosieguo del racconto Zen ci si renderà conto di questa verità. Infine, la cosa più importante del processo comunicativo: l’abilità di esprimere la propria capacità di ascolto. Ci si accorgerà subito che rispetto a questa competenza il giovane monaco lasciava alquanto a desiderare: continuiamo la storia.

 

Dopo poco tempo arrivò il monaco giovane cercando il viaggiatore. “Ho saputo che hai vinto la disputa” gli disse l’anziano. E il giovane: “Io non ho vinto un bel niente. Voglio trovare quell’individuo e picchiarlo”. “Raccontami la discussione”, lo pregò l’anziano. “Non appena mi ha visto” disse il monaco giovane “lui ha alzato il dito, alludendo al fatto che io ho un solo occhio. Siccome era un forestiero, ho pensato che dovevo essere gentile con lui e ho alzato due dita, congratulandomi del fatto che lui avesse due occhi. Poi quel farabutto ha alzato tre dita per dire che tra tutti e due avevamo soltanto tre occhi. A quel punto ho perso il lume della ragione e mi sono alzato in piedi per dargli un pugno, ma lui è scappato ed è finita così”.

 

Come si vede, la comunicazione non è stata compresa, sebbene tutto sembrasse chiaro ai due interlocutori. Il motivo è duplice: da una parte ciascuno dei due frati interpretava gli stessi segni attribuendo ad essi un significato differente, un po’ come succede a cani e gatti. Mentre per un cane scodinzolare con la coda alta è segno di affetto e di “festa”, per un gatto lo stesso segnale equivale ad un messaggio di aggressione: meglio non avvicinarsi troppo ad un micio che dimena alta la coda! Il secondo motivo è forse il concetto più importante da ricordare quando si parla di comunicazione umana: ciascuno interpreta la comunicazione altrui in relazione ai propri schemi mentali, alle proprie esperienze, ai suoi pregiudizi, al suo modo particolare di vedere la vita e sulla base di questa interpretazione decide ed organizza i propri comportamenti. Non è tanto importante il messaggio che si trasmette, quanto come questo viene inteso ed interpretato da chi lo riceve! Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto che riguarda l’informazione racchiusa nel messaggio e un aspetto di relazione relativo alle emozioni, alle sensazioni, agli stati d’animo e ai sentimenti di chi sta comunicando: di norma, questo secondo aspetto è più importante del primo perché è quello che determina maggiormente i comportamenti che la comunicazione induce. In altri termini, la comunicazione è un processo dinamico mediante il quale sveliamo qualcosa di noi agli altri ed anche a noi stessi.

 

Questa simpatica parabola Zen, in fondo, ci dice molte cose sul processo di comunicazione, cose che è indispensabile approfondire in un mondo sociale e professionale in cui la capacità di gestire le relazioni con gli altri sembra una delle competenze maggiormente ricercate. La comunicazione è sia un tema concettuale, di conoscenza, di regole, di leggi, insomma una scienza, sia una questione di sensibilità da affinare: è necessario imparare ad utilizzare le tecniche di comunicazione e ad applicare le norme che la regolamentano, tutte cose che ne fanno anche un’arte. L’insieme di tutte le relazioni che intercorrono all’interno di un sistema sono anche perennemente mutevoli nel tempo, costringendo gli appartenenti al sistema a rivedere le loro relazioni. Per questa ragione, ciò che si impara delle relazioni umane non può essere ritenuto acquisito una volta per sempre: è necessario continuare ad apprendere in linea con i cambiamenti del sistema. La comunicazione è una struttura unitaria complessa formata di aspetti psicologici e di procedure tecniche. A loro volta, queste due componenti sono strutture unitarie complesse formate ciascuna di diversi elementi. Il modo attraverso il quale sapremo organizzare le relazioni dei vari elementi che formano la comunicazione è determinante per valutare l’efficacia e la qualità delle nostre relazioni con gli altri, conoscenti, colleghi, amici, dirigenti o clienti che siano. Per imparare tutto questo è necessario intraprendere un esercizio intelligente che passi dalla conoscenza alla pratica e, successivamente, dalla pratica all’arte di comunicare.

 

Parlando di apprendimento, chiudiamo questo breve contributo suggerendo alcuni consigli per perseguire con tranquillità i propri obiettivi di miglioramento:

  1. Non esiste la comunicazione perfetta; comunicare bene richiede uno sforzo costante e continuo legato alla situazione che si sta vivendo, equilibrando bene tecnica e talento.
  2. È sbagliato seguire modelli teorici e pratici, meglio imparare a conoscere le proprie capacità, tendenze, abilità o mancanze in ambito di comunicazione: nessun libro può spiegare come siamo fatti meglio di noi stessi.
  3. Soprattutto, è bene imparare ad ascoltare, andando al di là delle parole che si odono e dei gesti che si percepiscono: bisogna imparare a cogliere l’insieme dei segnali che arrivano dagli altri.
  4. Infine, non bisogna dimenticare che il nocciolo vitale della comunicazione è la relazione fra persone, ovvero è l’incontro tra diversi universi che hanno bisogno di esplorarsi reciprocamente per rassicurarsi e quindi per conoscersi. La comunicazione serve forse a qualcos’altro?

 

 

 

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