È da quando siamo piccoli che qualcuno più grande o più potente ci mette in delle categorie, ci assegna punteggi, ci inserisce in colonne valutative. Numeri. Sembra che siano i numeri nel tempo a descriverci, a dire agli adulti autorevoli se contiamo oppure no.
di Chiara Pambianchi*
Se otteniamo voti alti a scuola, ci convincono che avremo un futuro e che quello sarà roseo. Se le nostre interrogazioni sono più silenziose della neve che cade a marzo, allora siamo poco seguiti a casa. I nostri genitori sono troppo presi dal dilemma di cosa guardare su Netflix per accorgersi del nostro rendimento scolastico. E inevitabilmente si plasmano nella mente di quegli adulti amministratori di giudizi, numeri anche su altri adulti inadempienti.
Numeri che vogliono essere così precisi e così assurdamente sfacciati. Ognuno di esso è stato a sua volta messo sotto processo per assicurarne la validità. Test su test per partorire un numero vero.
Un 6- nel tema esattamente cosa significa?
Che non sarai mai il prossimo Donato Carrisi. Pazienza. Dopotutto è un bene per il mondo che di Donato ce ne sia uno solo, c’è già una dose sufficientemente massiccia di pensiero malvagio in lui da sfamare tutto il pianeta delle fate e tramutarle in streghe assassine.
E poi si cresce, anche il numerino dell’età procede, prende posto vicino ad un obiettivo di cui sentiamo parlare da anni, ma di cui ancora non ne conosciamo il volto. Sappiamo solo che avrà un’aurea rosea. Forse.
Nella strada numerata della vita, lasciamo i muri dell’istruzione per quelli del lavoro. Ed allora assaporiamo la libertà da categorie e bacchettate sulle dita. Basta compiti da consegnare. Niente più preoccupazioni da verifiche. E ci illudiamo che scompaia del tutto l’ansia da prestazione, in quanto nessun numero parlerà più in nostra vece. L’unico conteggio che resta è il rapporto tra le ore lavorate e la paga. Fine. Finalmente. Ora esistiamo per ciò che siamo e dormiremo notti serene. Ci compriamo anche il pigiama nuovo col primo stipendio per coronare questo primo traguardo di libertà.
Ma poi nel mezzo di una notte d’estate in cui il caldo torrido ci fa venire il nervoso solo perché esiste, ci chiediamo con quella curiosità puerile e senza alcun scopo polemico:
“Ma se gli adulti che lavorano sono così liberi dalla paura di essere per sempre concatenati a delle definizioni date dai numeri e privi di preoccupazioni matematiche, allora perché sono sempre così insoddisfatti?”
A pensarci bene, mentre combattevamo la nostra guerra contro di loro, ci siamo accorti di quei due tizi che sbraitavano contro di noi senza alcun motivo evidente.
E sempre in quella estenuante notte calda in cui gli interrogativi diventavano più grandi del GGG, ci chiedevamo assorti:
“Ma non è che la rabbia e l’insofferenza dei nostri vecchi hanno una radice numerica?”
Allora avanziamo domande semplici per avvalorare la nostra tesi:
“Ciao pà, com’è andata al lavoro oggi?”
E lui, con uno sguardo a metà tra lo stupore di Harry Potter quando prende in mano per la prima volta la bacchetta e la determinazione di quando poi esercita il patronum contro i dissennatori, ci risponde:
“Per un motivo del ca…cioè volevo dire…per un soffio, non ho preso il premio produzione”
Come temevamo, i nostri dubbi erano fondati. Non sappiamo bene cosa siano i premi produzione ma capiamo subito che c’entrano con le cifre e quindi con i soldi.
“Sai la mia linea non ha prodotto sufficienti pezzi questo mese, quindi nada.”
Nostro padre si sentiva un fallito, glielo leggevo negli occhi. Ma siccome non potevamo radiare tutte le famiglie di numeri dalla faccia della terra, ci limitammo a chiedere:
“Due tiri a pallone e poi pizza?”
Nostro padre accettò, lanciando un sorrisetto di sfida, poi aggiunse:
“Io sto in porta e sappiate che la mia barriera è più solida del muro di Berlino!”
Glielo lasciammo credere. Era felice ed anche noi. Argomento non discutibile per numeri. Non incasellabile. Che potenza questo concetto di felicità che in un attimo svolta la giornata. E guarda un po’? Non dipese da nessuna equivalenza od espressione con le parentesi graffe. Solo dall’armonia emessa dalla dolce combinazione di “pallone” e “pizza”.
Potranno darci VOTI per tutta la vita, ma mai potranno dire che siamo VUOTI.
* Chiara Pambianchi, Dottoressa in scienze del comportamento e delle relazione sociali e Insegnante di sostegno, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., https://www.booksprintedizioni.it/autore/chiara-pambianchi