STIMOLI - STORIE E POESIE
Riflessioni e suggestioni tratte dalla letteratura e dalla realtà di tutti i giorni
Non hanno mai conosciuto in vita la libertà - Anonimo
32 anni fa, il 4 giugno 1989, la protesta degli studenti in piazza Tienanmen a Pechino, cominciata il 15 aprile, fu soffocata nel sangue dall’esercito cinese armato con fucili d'assalto e carri armati. Furono migliaia i morti fra i manifestanti. Il simbolo più noto della rivolta fu un coraggioso e anonimo ragazzo, chiamato Il Rivoltoso Sconosciuto, che si oppose al passaggio di un plotone di carri armati e salì su uno di essi per parlare con i militari. Un quotidiano britannico diffuse la notizia che il Rivoltoso Sconosciuto fosse stato giustiziato giorni dopo, ma la notizia non fu mai confermata. Non si sa chi sia il ragazzo, se sia libero o in carcere, vivo o morto. Sta di fatto che il suo eroismo e la sua capacità di riuscire a contrastare un nemico più grande di lui con una pacifica opposizione, l'hanno fatto entrare nella storia. Nell'aprile del 1998, la rivista Time ha incluso "Il Rivoltoso Sconosciuto" nella sua lista delle "persone che più hanno influenzato il XX secolo". Sei giorni dopo la strage di piazza Tienanmen, una studentessa cinese tradusse e fece imparare a memoria ad un giornalista americano del ''Baltimore sun'' una poesia in onore degli studenti uccisi e della Statua della Libertà costruita sulla piazza, prima che i soldati strappassero da un muro dell'università di Pechino il cartellone su cui era scritta. Eccola qui:
Non hanno mai conosciuto in vita la libertà
ma alzandosi in piedi per morire, sono morti liberi.
La democrazia è più di una statua di gesso.
Una statua di gesso può essere abbattuta,
ma scaraventarla a terra fa sì che la gente ricordi.
E il ricordo di una statua di gesso
conserverà il ricordo delle idee per cui sono morti.
La ballata di Renzo e Sfiorivano le viole - Rino Gaetano
Quel giorno Renzo uscì,
Andò lungo quella strada
Quando un auto veloce lo investì
Quell'uomo lo aiutò e Renzo allora partì
Per un ospedale che lo curasse,
Per guarir.
Quando renzo morì, io ero al bar
Bevevo un caffè
Quando Renzo morì, io ero al bar,
Al bar con gli amici
Quando Renzo morì, io ero al bar.
La strada molto lunga
S'andò al San Camillo
E lì non lo vollero per l'orario.
La strada tutta scura
S'andò al San Giovanni
E li non lo accettarono per lo sciopero.
Quando Renzo morì, io ero al bar
Bevevo un caffè
Quando Renzo morì, io ero al bar,
Al bar con gli amici
Quando Renzo morì, io ero al bar.
Con l'alba,
Le prime luciS'andò al Policlinico
Ma lo respinsero perché mancava il vice Capo
In alto,
C'era il sole
Si disse che Renzo era morto
Ma neanche al cimitero c'era posto.
Quando renzo morì, io ero al bar
Bevevo un caffè
Quando Renzo morì, io ero al bar,
Al bar con gli amici
Quando Renzo morì, io ero al bar.
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L'estate che veniva
Con le nuvole rigonfie di speranza
Nuovi amori da piazzare sotto il sole
Il sole che bruciava
Lunghe spiagge di silicio e tu crescevi
Crescevi sempre più bella
Fiorivi, sfiorivano le viole
E il sole batteva su di me
E tu prendevi la mia mano
Mentre io aspettavo
I passi delle onde
Che danzavano sul mare a piedi nudi
Come un sogno di follie venduto all'asta
La notte, quella notte cominciava un po' perversa
E mi offriva tre occasioni per amarti e tu
Fiorivi, sfiorivano le viole
E il sole batteva su di me
E tu prendevi la mia mano
Mentre io aspettavo
Il sole che bruciava, bruciava, bruciava, bruciava
E tu crescevi, crescevi, crescevi più bella, più bella
Fiorivi, sfiorivano le viole
E il sole batteva su di me
E tu prendevi la mia mano
Mentre io aspettavo te
Mentre io aspettavo te
Si lavora, si produce, si amministra lo stato
Il comune, si promette e si mantiene a volte
Mentre io aspettavo te
Il marchese La Fayette ritorna dall'America
Importando la rivoluzione e un cappello nuovo
Mentre io aspettavo te
Ancora penso alle mie donne
Quelle passate e le presenti le ricordo appena
Mentre io aspettavo te
Otto von Bismarck-Shönhausen
Realizza l'unità germanica e si annette mezza Europa
Mentre io aspettavo te
Michele Novaro incontra Mameli
E insieme scrivono un pezzo tuttora in voga
Mentre io aspettavo
A Carla Fracci - Alda Merini
Delle lusinghe della notte un sogno
esce e percorre tutta la vallata
una fata che genera altri tempi
e vola via come una canzone
non occorre nel vederti danzare
aver letto molti testi
oppure domandandosi
l’origne dell’amore.
Tu sei l’amore
tu sei il sentimento
tu sei illogica
come la ragione
tu sei leggera come la follia.
Gagarin - Claudio Baglioni
Quell'aprile si incendiò
Al cielo mi donai
Gagarin figlio dell'umanità
E la terra restò giù
Più piccola che mai
Io la guardai non me lo perdonò
E l'azzurro si squarciò
Le stelle trovai lentiggini di Dio
Col mio viso sull'oblò
Io forse sognai
E ancora adesso io volo
E lasciavo casa mia
La vodka ed i lillà
E il lago che bagnò il bambino Yuri
Con il piede io scansai
Bugie volgarità
Calunnie guerre maschere antigas
Come un falco mi innalzai
E sul Polo Nord sposai l'eternità
Anche l'ombra mi rubò
E solo restai
E ancora adesso io volo
E ancora adesso io volo
Volo
Volo
Nell'infinito io volo
Il sole nero - Gianni Rodari
La mia bambina
ha disegnato
un sole nero, di carbone,
appena circondato
di qualche raggio arancione.
Ho mostrato il disegno a un dottore;
Ha scosso la testa. Ha detto:
- La poverina, sospetto,
è tormentata da un triste pensiero,
che le fa vedere tutto nero.
Nel caso migliore
ha un difetto di vista:
la porti da un oculista. -
Così il medico disse,
io morivo di paura.
Ma poi guardando meglio in fondo al foglio
vidi che c’era scritto, in piccolo: “l’eclisse”.
Orazione funebre per Cesare (Giulio Cesare, atto III, scena II) - William Shakespeare
Lentamente muore (Ode alla vita) - Martha Medeiros
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
I giardinieri - Jacques Dropsy
Cyrano di Bergerac (Atto secondo, Scena ottava) - Edmond Rostand
Orsù, che dovrei fare?
Cercarmi un protettore, eleggermi un signore?
E come l’edera che dell’olmo tutore
accarezza il gran tronco e ne lecca la scorza,
arrampicarmi, invece di salire con forza?
No, grazie.
Dedicare, com’usa tradizione,
dei versi a dei ricconi, far l’arte del buffone
pur di veder alfin le labbra di un potente
schiudersi ad un sorriso benigno e promettente?
No, grazie.
Saziarsi di rospi, digerire
lo stomaco per forza nell’andare e venire,
consumato di ginocchia a misurar le altrui scale,
far continui prodigi di agilità dorsale?
No, grazie.
Accarezzare con mano abile e scaltra
la capra e intanto il cavolo innaffiare con l’altra,
ed aver sempre il turibolo sotto dell’altrui mento
per la divina gioia del muto incensamento?
No, grazie.
Progredire di girone in girone,
diventare un grand’uomo tra cinquanta persone?
E navigar con remi di madrigali e avere, per buon vento,
i sospiri di vecchie fattucchiere?
No, grazie.
Pubblicare presso un buon editore,
pagando, i propri versi? No, grazie dell’onore.
Brigar per farsi eleggere papa nei concistori
che per entro le bettole tengono i ciurmatori?
Sudar per farsi un nome su di un picciol sonetto
anziché scriverne altri? Scoprire l’ingegno eletto
agli incapaci, ai grulli? Alle talpe dare ali,
lasciarsi sbigottir dal rumor dei giornali?
E sospirare, e pregare a mani tese
purché il mio nome appaia su un giornale francese?
No, grazie.
Calcolare, tremar tutta la vita,
far piuttosto una visita che una strofa tornita?
E scrivere suppliche e farsi qua e là presentare?
Grazie, no. Grazie, no. Grazie, no.
Ma, cantare, sognare e ridere libero e indipendente.
Aver l’occhio sicuro e la voce possente.
Mettersi, quando piaccia, il feltro di traverso.
Per un sì, per un no battersi o fare un verso.
Lavorar, senza cura di gloria o di fortuna,
a qual sia più gradito viaggio nella luna.
Nulla che sia farina d’altri scrivere e poi, modestamente, dirsi:
ragazzo mio, tu puoi
tenerti pago al frutto, pago al fiore, alla foglia
purché nel tuo giardino, nel tuo, tu li raccolga.
Poi, se venga il trionfo per fortuna o per arte,
non dover darne a Cesare la più piccola parte.
Aver tutta la palma della meta compita
e disdegnando d’essere l’edera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto,
salir, anche non alto, ma salir senza aiuto.
Il segno del destino - Sergéj Esenin
Porta un segno speciale dall’infanzia.
Se non fossi poeta
Certamente sarei malandrino o ladro.
Magrolino, di bassa statura,
Sempre eroe fra i compagni,
Spesso, spesso, col naso rotto,
Me ne ritornavo a casa.
E incontrando la mamma spaventata
Sussurravo con la bocca piena di sangue:
– Nulla! Ho inciampato su un sasso,
Domani sarà tutto guarito. –
Ma anche adesso, benché sia freddata
La bollente trama di quei giorni,
Un’audace, inquieta forza
Si rovescia nei miei poemi.
Un mucchio d’oro di parole,
E su ogni riga, senza fine,
Si rispecchia l’antica baldanza
Del monello e dell’attaccabrighe.
Come allora sono fiero, temerario.
E cammino soltanto su terre vergini.
Se allora mi picchiavano sul muso,
Adesso è tutta l’anima che sanguina.
Adesso dico non più alla mamma,
Ma a un’estranea sghignazzante marmaglia:
– Fa nulla! Ho solo inciampato su un sasso.
Domani sarà tutto guarito –.
Le cose più importanti sono le più difficili da dire - Stephen King, Stagioni diverse, Stand by me
Le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, perché le parole le immiseriscono. Le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori. Ma è più che questo, vero? Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portar via. E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire affatto quello che avete detto, senza capire perché vi sembrava tanto importante da piangere mentre lo dicevate. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti, ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare.
Per conoscerci l’un l’altro - Prem Prakash Malla
tu non mi conosci
sediamoci insieme
per conoscerci.
Lasciami guardare nei tuoi occhi
tu, per favore, guarda nei miei.
Stringiamo e rafforziamo
i nostri legami
e spingiamoci oltre
per conoscerci l’un l’altro.
Lascia che ti dica qualcosa
tu, per favore, dimmi qualcosa
lascia che io conosca qualcosa di te
tu, per favore, apprendi qualcosa su di me
e spingiamoci oltre
per conoscerci l’un l’altro.
Lascia che io ti canti una canzone
tu, per favore, cantane una per me
lascia che io faccia qualcosa per te
tu, per favore, fai qualcosa per me
e spingiamoci oltre
per conoscerci l’un l’altro.
In quel momento apparve la volpe - Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, capitolo XXI
Ogni caso - Wisława Szymborska
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
Lettera del 27 giugno 1932, a Iulca - Antonio Gramsci
La stretta de mano - Trilussa
Quella de dà la mano a chicchessia,
nun è certo un’usanza troppo bella:
te pò succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quann’ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia,
che t’entra in bocca e va ne le budella.
Invece a salutà romanamente,
ce se guadambia un tanto co l’iggiene,
eppoi nun c’è pericolo de gnente.
Perché la mossa te viè a dì in sostanza:
“Semo amiconi … se volemo bene …
ma restamo a ‘na debbita distanza”.
Una partita a scacchi - Tonino Guerra
Un inglese e una russa si conobbero a Capri, ed ebbero un breve ma struggente incontro d'amore. L'inglese partì per Londra e la russa se ne tornò sulla sua grande pianura. Avevano deciso di continuare il loro amore giocando una lunga partita a scacchi a distanza. Ogni tanto arrivava una lettera dalla Russia con la mossa da fare e ogni tanto arrivava in Russia la lettera coi numeri da Londra. Intanto l'inglese si sposò ed ebbe tre figli. Anche la russa ebbe un felice matrimonio. La partita a scacchi, con una lettera ogni cinque o sei mesi, durò vent'anni. Poi un giorno arrivò all'inglese una mossa di cavallo così astuta che gli mangiò la regina, e lui capì che questa mossa l'aveva fatta un'altra persona per indicargli che la signora era morta.
Parole - Anne Sexton
State attenti alle parole,
anche a quelle miracolose.
Per le miracolose diamo il meglio,
brulicano alle volte come insetti
lasciando non un pizzico ma un bacio.
Possono essere buone come le dita.
Possono essere affidabili come le rocce
su cui mettiamo il sedere.
Ma possono essere sia margherite che ferite.
Eppure io le amo.
Sono colombe cadute dal soffitto.
Sono sei arance sacre appoggiate in grembo.
Sono gli alberi, le gambe dell’estate,
e il sole, con il suo volto appassionato.
Eppure spesso mi deludono.
Ho così tanto da dire,
così tante storie, immagini, proverbi, ...
Ma le parole non ce la fanno,
mi baciano quelle sbagliate.
A volte volo come un’aquila
ma con le ali dello scricciolo.
Provo comunque a prendermene cura
e ad essere gentile.
Uova e parole vanno maneggiate con cura.
Una volta rotte non si possono
riparare.
Il re, l'elefante e i ciechi (Racconto tradizionale)
C’era una volta un re che mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Poi mandò a chiamare il proprietario di un elefante e gli fece portare in piazza l’animale.
Chiamando ad uno ad uno i ciechi diceva loro: “Questo è un elefante, secondo a te a cosa assomiglia?” E uno diceva una caldaia, un altro un mantice, a seconda della parte di animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva che era il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio. Chi aveva toccato la coda aveva detto che era la fune di una barca. Chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto che si trattava di un tappeto.
Quando ognuno dei ciechi incontrò l’altro dicendo quello a cui, secondo lui, assomigliava l’animale discutevano perché ciascuno di loro era convinto di quello che aveva toccato. Perciò, quando chiedevano loro a cosa somigliasse un elefante ognuno diceva l’oggetto che gli sembrava di aver toccato.
Il re, vedendoli così convinti e sicuri, e anche litigiosi, si divertiva un mondo, ma alla fine decise di aiutarli a capire. A due a due li invitò a toccare quello che aveva toccato l’altro chiedendo loro a che cosa assomigliasse. Così tutti dicevano quello che prima sosteneva l’altro e si invertirono i ruoli. Come se fosse stato un gioco, li invitò a parlare tra di loro e alla fine tutti si formarono un’idea di come in realtà l’elefante fosse.
Tutti erano d’accordo che era un mantice con un ramo di un albero nel mezzo e a lato un aratro con due tappeti sopra a un granaio, sostenuto da colonne e tirato da una fune di barca.
Se potessi vivere di nuovo la mia vita - Jorge Luis Borges
Se potessi vivere di nuovo la mia vita.
Nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.
Correrei più rischi,
farei più viaggi,
contemplerei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.
Andrei in più luoghi dove mai sono stato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali, e meno problemi immaginari.
Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto
della loro vita sensati e con profitto;
certo che mi sono preso qualche momento di allegria.
Ma se potessi tornare indietro, cercherei
di avere soltanto momenti buoni.
Ché, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,
di momenti: non perdere l'adesso.
Io ero uno di quelli che mai
andavano da nessuna parte senza un termometro,
una borsa dell'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.
Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri in calesse,
guarderei più albe,
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.
Ma vedete, ho 85 anni
e so che sto morendo.
Restano tre cose - Fernando Sabino
Di tutto, restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione
un nuovo cammino,
della caduta
un passo di danza,
della paura
una scala,
del sogno
un ponte,
del bisogno
un incontro.
Itaca - Constantinos Kavafis
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente, e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E sa la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Morte di un equilibrista - Adriano Sofri
Il 23 marzo del 1978, giovedì, vidi alla televisione, la morte di un equilibrista latinoamericano di 73 anni. Camminava su un cavo teso fra due grattacieli, con l’asta in mano, e non sembrava un vecchio. All’improvviso si fermò, assaltato da una ventata più forte, e si chinò lentamente, facendo oscillare l’asta per raccogliere l’equilibrio e resistere. Alcuni secondi: poi si capì che aveva ceduto, e si abbassò, ancora lentamente, ma senza più lottare, scivolò attorno al cavo, sembrò non tentare neanche di afferrarvisi; e si lasciò cadere, stanco e vecchio, ora. Si schiantò. Erano in dodici, nella sua famiglia, morti così, riferì il cronista. Lui era il più bravo del mondo. Fra la gente che assisteva parecchi svennero. La gente non ama la morte, la caduta, ama il rischio, l’allusione alla morte: sul filo, l’acrobata è sensacional; caduto, è uno di noi.